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Le interviste ai nostri medici
Per il ciclo di interviste con i nostri medici, oggi andiamo a conoscere da vicino la Dottoressa Alessandra Avino, psicologa/psicoterapeuta con oltre 20 anni di esperienza, un’esperienza iniziata proprio a Riminiterme.
“Sì, la mia “carriera” professionale posso dire che sia partita da qua, quando neolaureata ho iniziato a ricevere i primi pazienti in ambulatorio nell’allora Talassoterapico”.
E attualmente di cosa si occupa?
“Sono una psicologa/psicoterapeuta, quindi il focus sono incontri di sostegno per singoli, coppie o famiglie che necessitano appunto di un aiuto per risolvere un problema che ha un impatto negativo sulle loro vite”.
A Riminiterme propone però anche approcci più originali.
“Sì cerco sempre di sfruttare al meglio ciò che ho a disposizione, in questo caso il bellissimo centro benessere. Abbiamo quindi ideato il pacchetto “La coppia non scoppia” che prevede una SPA di coppia in totale relax, un massaggio di coppia da 30’ e a seguire un colloquio per migliorare la relazione, in una perfetta unione tra corpo e mente”.
Quali sono i problemi più comuni che si trova ad affrontare?
“Difficoltà nelle relazioni, ansia, stress e attacchi panico sono molto ricorrenti, non mancano purtroppo anche le problematiche familiari provocate da separazioni e divorzi. In questo momento storico poi mi trovo spesso ad affrontare disturbi provocati dalla pandemia, soprattutto negli adolescenti che sono sempre più ‘analfabeti emozionali’, incapaci di esprimere stati emotivi o di percepire le emozioni degli altri”.
Un consiglio valido per tutti?
“Non trattenere, far fluire le emozioni aiuta a vivere più sereni. Quando capita è inoltre importante avere la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un problema e avere così la forza per affrontarlo”.
C’è un aspetto del suo lavoro che ama particolarmente?
“Quando si ottengono risultati è appagante sentire di essere stati importanti nel percorso di crescita di un singolo o di una coppia; si condivide un’esperienza, un qualcosa di unico e a volte può subentrare la cosiddetta “sindrome del nido vuoto”, quell’amara nostalgia nel lasciare andare un paziente con cui è stata percorsa una lunga strada che ora, giustamente, può percorrere da solo”.