Molto spesso le persone non sanno cosa fare e a chi rivolgersi in caso di infortuni o patologie.
Questa sezione ha l’obiettivo di guidarvi all’interno delle patologie più frequenti viste dal punto di vista di un medico specialista, in modo da riconoscervi meglio nella vostra patologia, prendere più consapevolezza dell’intero processo di riabilitazione e avere così un ruolo più attivo, che vi consente di ottenere il miglior recupero delle vostre funzionalità.
In questa mappa troverete i punti del corpo umano soggetti maggiormente ad infortuni tipici ed a patologie croniche.
Per ogni punto troverete una breve introduzione, gli infortuni più frequenti e le relative patologie croniche.
Il passo successivo sarà rivolgervi ad un nostro medico fisiatra per maggiori chiarimenti e una visita mirata che consenta di definire una diagnosi precisa e l’approccio terapeutico più indicato.
Dolore all’anca
L’articolazione dell’anca unisce il femore al bacino.
Il dolore all’anca può dipendere da varie cause. Può manifestarsi in seguito a traumi o lesioni croniche da uso eccessivo, vale a dire a causa di fratture, che sono molto frequenti negli anziani, in particolare tra coloro che soffrono di osteoporosi.
Oppure il dolore all’anca può essere causato da una contrattura, una lussazione traumatica o un’osteoartrosi, anche quest’ultima molto comune negli anziani.
Quando si verificano queste condizioni, il dolore causato dal movimento dell’articolazione dell’anca può essere avvertito lungo la coscia fino al ginocchio, anche se il problema è localizzato solo nell’anca.
Infortuni più frequenti
Frattura
La frattura è una interruzione dell’integrità strutturale dell’osso e può essere di origine traumatica o spontanea, vale a dire patologica.
Esistono anche fratture da stress o da sovraccarico funzionale, causate dalla continua sollecitazione sull’osso (come ad esempio la frattura da marcia).
Una frattura frequente che richiede un intervento fisioterapico è quella del bacino e si suddivide in 3 grandi gruppi:
- Fratture che provocano la discontinuità del bacino con perdita della stabilità
- Fratture che provocano la discontinuità del bacino ma che conservano stabilità
- Fratture e lussazioni che interessano l’articolazione dell’anca, con o senza frattura dell’acetabolo, la cavità a destra e a sinistra del corpo, nella parte laterale del bacino.
Le fratture del bacino hanno un’alta incidenza di complicanze gravi, per questa ragione è fondamentale intervenire tempestivamente.
Per quanto riguarda, invece, le complicanze legate al sistema nervoso, il nervo sciatico è senz’altro quello maggiormente coinvolto.
Le fratture possono essere inoltre causate da una brusca e violenta contrazione muscolare (dette fratture da avulsione) che determina un distacco osseo in corrispondenza dell’inserzione tendinea del muscolo stesso. Questo genere di frattura è molto frequente nei giovani atleti.
Contrattura
La contrattura muscolare è una contrazione involontaria, insistente e dolorosa di uno o più muscoli scheletrici.
La contrattura è un atto difensivo che insorge quando il tessuto muscolare viene sollecitato oltre il suo limite di sopportazione fisiologico.
In sostanza, l’eccessivo carico innesca un meccanismo di difesa che porta il muscolo a contrarsi.
Le cause della contrattura possono essere di natura meccanica e/o metabolica ma non sono state ancora definite con chiarezza.
Ciò che si sa è che sono in qualche modo correlate ai seguenti fattori:
- mancanza di riscaldamento generale e specifico
- preparazione fisica non idonea
- sollecitazioni eccessive, movimenti bruschi e violenti
- problemi articolari, squilibri posturali e muscolari, mancanza di coordinazione.
La contrattura è la meno grave tra le lesioni muscolari acute poiché non causa alcuna lesione anatomica alle fibre.
Per quanto riguarda i sintomi, si avverte una ipertonia (aumento del tono muscolare), un dolore modesto e diffuso lungo l’area muscolare interessata, che causa una mancanza di elasticità del muscolo durante i movimenti.
Per guarire da una contrattura normalmente sono sufficienti alcuni giorni di riposo, evitando di continuare a svolgere le attività sportive che evocano fastidio o dolore alla zona interessata.
Per accelerare il recupero sono utili sia gli esercizi di allungamento che aiutano a distendere la muscolatura, sia i massaggi decontratturanti al termine dell’attività in modo da allentare le tensioni muscolari.
Patologie croniche
Pubalgia
Il paziente racconta un inizio di dolore in fossa iliaca, che si aggrava compiendo alcuni movimenti, che riduce notevolmente la prestazione sportiva. A volte il paziente riferisce uno schiocco articolare a livello dell’anca.
Questo sintomo può protrarsi per diversi mesi e può essere scatenato da un trauma acuto o da microtraumi ripetuti. Il dolore può raggiungere l’inguine.
Negli sportivi spesso ne è responsabile la sindrome dell’ileo-psoas, un muscolo interno dell’anca che agisce flettendo, abducendo ed extraruotando la testa del femore.
La diagnosi è essenzialmente clinica e si esegue su test muscolari contro resistenza e la palpazione profonda del muscolo.
In alcuni casi può essere necessario richiedere la risonanza magnetica, per escludere un’eventuale lesione muscolare o una radiografia.
Il trattamento si basa su uno specifico massaggio miofasciale associato a massoterapia decontratturante degli altri distretti muscolari spesso coinvolti, oltre che su esercizi posturali e di allungamento, su esercizi di tonificazione dello psoas e dei muscoli sinergici.
Spesso è importante integrare le terapie in palestra con un ciclo di manipolazioni vertebrali per risolvere eventuali blocchi articolari a livello del bacino.
Artrosi dell’anca
L’artrosi all’anca può insorgere su articolazioni sane o essere conseguenza di malformazioni o traumi. È più frequente nelle donne e nei pazienti in sovrappeso.
I sintomi sono in genere chiari ed inequivocabili:
- dolore all’inguine che peggiora con il cammino e nei primi movimenti dopo essere stati fermi a lungo seduti; può irradiarsi al ginocchio e per questo a volte ci si focalizza sulla articolazione sbagliata.
La diagnosi è clinica e radiografica. Le radiografie evidenziano le alterazioni del profilo scheletrico mentre la TAC e la risonanza magnetica rilevano le irregolarità delle cartilagini.
Le vostre articolazioni sono organi del movimento, e quando una di esse funziona in maniera anomala, si innescano dei meccanismi di compenso dei quali risente tutto l’organismo.
Per questo è fondamentale un buon trattamento riabilitativo finalizzato alla riduzione del dolore, al recupero del movimento articolare, alla ripresa di una vita attiva e al rallentamento dell’evoluzione della malattia.
Dolore al collo (cervicalgia)
Il dolore al collo è un disturbo muscolo-scheletrico estremamente diffuso tra la popolazione.
Il tratto cervicale della colonna vertebrale è costituito da 7 vertebre. Questa parte di colonna è sottoposta a continue sollecitazioni traumatiche dovute ai movimenti del capo.
La cervicalgia può essere causata da sedentarietà, postura scorretta, fratture, lussazioni, lesioni degenerative e lesioni traumatiche. Le patologie a carico del rachide sono potenzialmente molto pericolose quando coinvolgono le radici dei nervi cervicali.
La cervicalgia è avvertita dal soggetto come un dolore costante, di entità variabile, a livello del rachide cervicale. Le tecniche diagnostiche più utilizzate sono: anamnesi, radiografia TC, MRI ed elettromiografia.
Infortuni più frequenti
Colpo di frusta
È il trauma più comune del rachide cervicale e si verifica in seguito ad un brusco movimento del tratto cervicale in iperflessione/iperestensione.
Le cause possono essere una caduta, un incidente, un trauma sportivo.
Il dolore è intenso e ben localizzato sui muscoli della regione cervicale che aumentano di consistenza e rigidità limitando di conseguenza i movimenti del capo. Spesso al dolore si aggiunge un senso di vertigine ed una intensa emicrania.
Il primo esame da fare è una radiografia del rachide cervicale per escludere fratture. A volte può essere opportuno eseguire anche una TAC o una risonanza magnetica (RMN) se permane il sospetto di una frattura o di un’ernia discale.
Il trattamento prevede l’uso di un collare semirigido, associato a riposo e farmaci specifici.
Per accelerare i tempi di recupero verrà consigliato al paziente un ciclo di trattamento riabilitativo che include esercizi, terapie manuali e terapie fisiche.
Frattura vertebre cervicali
A livello cervicale si distinguono 2 tipi di fratture vertebrali: le fratture senza interessamento neurologico (fratture amieliche) e fratture con interessamento neurologico (fratture mieliche).
Nelle fratture amieliche il paziente avverte dolore locale, impotenza o limitazione funzionale e alterazioni dell’atteggiamento della colonna cervicale.
Una radiografia è in genere sufficiente per la diagnosi.
Si interviene indossando un collare rigido per circa 2-3 mesi, dopodiché è necessario iniziare un trattamento riabilitativo per il recupero completo.
Una frattura instabile deve invece essere trattata chirurgicamente al fine di ottenere la stabilizzazione.
Ernia del disco
Il disco intervertebrale è paragonabile ad un cuscinetto ammortizzatore interposto tra due vertebre contigue ed è composto da un nucleo polposo centrale ricco d’acqua, tenuto fermo da un rivestimento esterno fibroso.
Gli spostamenti del rachide modificano la posizione del nucleo polposo all’interno del disco intervertebrale e possono essere causati da posture sbagliate o da gesti particolarmente gravosi per il rachide.
In una fase più avanzata l’anello fibroso si lacera e il materiale contenuto all’interno del disco fuoriesce (ernia espulsa).
Il dolore è forte ed è accompagnato spesso da parestesie nell’area corrispondente alla radice compressa.
Gli esami richiesti consistono in una radiografia e in una risonanza magnetica (RMN) o TC.
Nella stragrande maggioranza dei casi è indicato un trattamento di tipo conservativo, vale a dire massaggi, manipolazioni e stretching, a cui si associa spesso anche la terapia farmacologica.
A tutto ciò si associano dei consigli da seguire a casa quali non guardare la TV dal letto o dal divano sdraiati e non dormire su due cuscini.
Patologie croniche
Artrosi cervicale
La cervicalgia, detta più comunemente “cervicale”, è un disturbo comune causato da postura scorretta, uso improprio di cuscini, sedentarietà, sport traumatici (lotta, rugby, boxe), ernie del disco, artrosi e, non ultimo, eventi traumatici come il colpo di frusta.
Il dolore cervicale può essere localizzato al collo o avvertito in altre sedi.
Quando il dolore è avvertito alla spalla, al braccio e alla mano si parla di cervico-brachialgia che, nella maggior parte dei casi, è dovuta all’irritazione delle radici nervose.
La diagnosi è fondamentale per l’impostazione di un corretto ciclo riabilitativo e si ottiene in seguito a radiografia, TAC o risonanza magnetica (RMN) per individuare eventuali compressioni del midollo spinale o la presenza di ernie discali con compressione delle radici nervose. In alcuni casi potrà essere richiesta anche una consulenza neurochirurgica.
Nella maggioranza dei casi la cervicalgia si cura con terapie manuali, fisiche, esercizio fisico e stretching.
E’ anche importante cercare di correggere le cattive abitudini di vita che possono ostacolare il percorso riabilitativo e vanificare i risultati ottenuti.
Dolore alla coscia
La coscia è quel tratto dell’arto inferiore compreso tra l’anca e il ginocchio il cui scheletro è costituito dal femore.
Le lesioni muscolari sono tra i traumi più comuni in medicina dello sport e possono essere dovuti a vari fattori, come crampi e strappi muscolari, fratture. Analizziamo gli ultimi due casi in cui è necessaria una terapia riabilitativa.
Infortuni più frequenti
Fratture al femore
Per frattura s’intende un’interruzione della continuità dell’osso. La frattura avviene quando la forza applicata è di un’intensità tale da superare la resistenza dell’osso.
La sintomatologia tipica delle fratture è caratterizzata da dolore, rigidità, ematoma e limitazione funzionale dell’arto colpito.
La diagnosi avviene con una semplice radiografia.
Il trattamento in emergenza delle fratture è gestito in pronto soccorso.
In seguito è importantissimo iniziare un trattamento riabilitativo personalizzato. La rieducazione si svolge all’inizio per diminuire il dolore e l’infiammazione, in seguito per recuperare il massimo grado di movimento possibile, prima in palestra e poi in piscina.
Lesioni/Infortuni muscolari
Le lesioni muscolari sono tra i traumi più comuni in medicina dello sport.
Innanzi tutto le lesioni muscolari possono insorgere o a causa di un colpo ricevuto (e in questo caso le chiameremo lesioni da trauma diretto o contusioni) o a causa di un movimento errato (lesioni da trauma indiretto).
Le contusioni sono facilissime da diagnosticare, perché l’atleta è in grado di riferire immediatamente il momento esatto in cui ha sentito il dolore, derivato da un contrasto con l’avversario o con un ostacolo.
Più complessa è la classificazione e la diagnosi dei traumi indiretti.
Se il dolore insorge accompagnato da un aumento diffuso del tono muscolare, solitamente al termine dell’attività sportiva, non è riferibile a un preciso momento di gioco e non è ben localizzato siamo di fronte ad una contrattura muscolare.
Se al contrario il dolore è ben individuabile alla palpazione, insorge progressivamente durante l’attività sportiva, permette di continuare a giocare, anche se con fatica, allora siamo di fronte ad uno stiramento.
Sono le vere e proprie lesioni o strappi muscolari (di primo, secondo e terzo grado) quelle che richiedono tempi più lunghi, per ritornare in forma. In questi casi è sempre presente una lesione anatomica, di gravità variabile.
Difficile non individuare subito la vera lesione muscolare, perché l’atleta sente un dolore improvviso, acuto, con un preciso riferimento a un gesto tecnico.
La diagnosi si ottiene con un’ecografia, che è ripetuta periodicamente durante la riabilitazione per monitorare la guarigione.
Dolore alla gamba
La gamba è quella regione anatomica del corpo umano compresa fra il ginocchio e il collo del piede. Il suo scheletro è costituito dalla tibia, collocata antero-medialmente, e dal perone, collocato lateralmente. Le due ossa sono unite tramite una membrana interossea.
Le lesioni ossee e muscolari della gamba sono traumi molto comuni in medicina dello sport.
Infortuni più frequenti
Fratture tibia e perone
Per frattura s’intende un’interruzione della continuità dell’osso, che avviene quando la forza applicata è di un’intensità tale da superare la resistenza dell’osso.
La frattura della gamba provoca dolore, rigidità, ematoma e limitazione funzionale dell’arto colpito. La diagnosi è possibile con una semplice radiografia, da eseguire anche in pronto soccorso, cui segue un trattamento riabilitativo personalizzato.
La rieducazione inizialmente ha l’obiettivo di diminuire il dolore e l’infiammazione, poi per recuperare il movimento, prima in palestra e poi in piscina.
Lesioni/Infortuni muscolari
Le contusioni sono facilissime da diagnosticare, perché l’atleta è in grado di riferire immediatamente il momento esatto in cui ha sentito il dolore, perché derivato da un contrasto con l’avversario o con un ostacolo.
Più complessa è la classificazione e la diagnosi dei traumi indiretti.
Se il dolore insorge accompagnato da un aumento diffuso del tono muscolare, solitamente al termine dell’attività sportiva, non è riferibile a un preciso momento di gioco e non è ben localizzato siamo di fronte ad una contrattura muscolare.
Se al contrario il dolore è ben individuabile alla palpazione, insorge progressivamente durante l’attività sportiva, permette di continuare a giocare, anche se con fatica, allora siamo di fronte ad uno stiramento.
Sono le vere e proprie lesioni o strappi muscolari (di primo, secondo e terzo grado) quelle che richiedono tempi più lunghi, per ritornare in forma. In questi casi è sempre presente una lesione anatomica, di gravità variabile.
Difficile non individuare subito la vera lesione muscolare, perché l’atleta sente un dolore improvviso, acuto, con un preciso riferimento a un gesto tecnico; l’atleta addirittura segna con un dito il punto della lesione.
La diagnosi si ottiene con un’ecografia, che è ripetuta periodicamente durante la riabilitazione per monitorare la guarigione.
Dolore al ginocchio
Il ginocchio è una delle articolazioni più complesse dell’organismo. Funziona nel rispetto di sofisticate leggi di anatomia e di biomeccanica ed è per questo che è un organo allo stesso tempo molto forte e molto delicato.
L’articolazione del ginocchio connette il femore alla tibia, ed è protetta anteriormente dalla rotula che facilita il lavoro muscolare durante i movimenti di flessione ed estensione. Le superfici ossee sono ricoperte da uno strato di cartilagine che le rende più lisce, facilitandone il reciproco scorrimento.
L’articolazione è stabilizzata da quattro forti legamenti: il legamento crociato anteriore (LCA), il legamento crociato posteriore (LCP), il legamento collaterale mediale (LCM) e il legamento collaterale laterale (LCL). Sono aiutati, in questo compito di stabilizzatori, dalla capsula e dai muscoli.
Il dolore al ginocchio può avvenire per varie ragioni, ad esempio se restiamo a lungo seduti, o se restiamo in piedi a lungo, quando ci inginocchiamo o facciamo attività fisica, oppure a causa di un movimento brusco.
Infortuni più frequenti
Distorsione ginocchio
La distorsione di ginocchio è tra le lesioni più frequenti praticando vari sport quali calcio, pallacanestro, sci e pallavolo, ma si verifica anche a causa di traumi stradali tra gli automobilisti (traumi diretti da cruscotto) o tra i motociclisti (traumi da caduta).
Il paziente che ha subìto un trauma con rotazione del ginocchio e questo si è gonfiato e fa male, in attesa di recarsi dal medico, dovrà applicare del ghiaccio e proteggere l’articolazione dal carico usando le stampelle.
La valutazione del medico è di fondamentale importanza, anche se in fase acuta il dolore e le reazioni in difesa rendono difficili le manovre che normalmente si adottano per svelare una lesione legamentosa. Il medico potrà prescrivere poi una risonanza magnetica (RMN) o la TAC, necessari al fine di individuare il corretto percorso riabilitativo.
Rottura del legamento crociato anteriore (LCA)
La rottura del legamento crociato anteriore (LCA) è molto frequente specie in chi pratica sport di alto impatto come il calcio, lo sci, il volley e il basket.
I sintomi possono variare da paziente a paziente, ma generalmente questi avverte dolore intenso, gonfiore molto marcato che insorge rapidamente e sensazione di cedimento con importante limitazione funzionale.
La diagnosi si ottiene con il racconto del paziente e test come la risonanza magnetica (RMN) per valutare anche eventuali lesioni associate a carico dei menischi, dei legamenti collaterali e della cartilagine.
L’iter decisionale riguardo il percorso da seguire (conservativo o chirurgico) deve tener conto di numerosi elementi: età del paziente, grado di instabilità, presenza o meno di lesioni associate e livello di attività sportiva.
In tutti i casi è importante seguire un appropriato ciclo di riabilitazione.
Il paziente ideale per l’intervento chirurgico è un soggetto giovane, che segue attività ad alto livello ed è motivato a seguire un programma riabilitativo impegnativo.
L’approccio conservativo è, invece, indicato per le persone anziane e sedentarie, che farebbero troppa fatica a seguire un programma di riabilitazione dopo un intervento chirurgico perché poco motivate e costanti.
Lesione del legamento crociato posteriore (LCP)
La lesione del legamento crociato posteriore (LCP) è molto più rara di quella del legamento crociato anteriore (LCA) e si verifica tipicamente in caso di impatto del ginocchio contro il cruscotto dell’auto durante un incidente stradale (trauma da cruscotto) e anche in molti sport di contatto.
Il paziente avverte una sensazione di instabilità e di dolore posteriore, che persistono anche dopo la fase acuta. Una TAC o una risonanza magnetica (RMN) aiutano a diagnosticare la lesione e a rivelare anche l’eventuale presenza di lesioni meniscali o di altre strutture.
Il trattamento da attuare inizialmente è un programma riabilitativo simile a quello delle più comuni distorsioni del ginocchio, ma in seguito si dovranno studiare delle strategie mirate al caso specifico. L’intervento chirurgico è riservato solo ai casi che lamentano instabilità dopo la fase riabilitativa.
Rottura dei legamenti collaterali (LCM, LCL)
La rottura dei legamenti collaterali si verifica quando la gamba viene sollecitata verso l’interno o verso l’esterno ed è frequente in molte attività sportive.
La lesione a carico dei legamenti collaterali può essere di varie entità a seconda del trauma: un trauma lieve provoca una lesione di 1°grado, in cui solo viene danneggiata solo una parte delle fibre, un trauma moderato causa una lesione di 2°grado, mentre un trauma intenso provoca una lesione di 3° grado ed interrompe completamente il legamento provocando gonfiore e molto dolore.
L’esame obiettivo (vale a dire ispezione e palpazione dell’arto interessato), può essere sufficiente per una diagnosi corretta ma a volte è abbinato ad una ecografia o di una RMN (Risonanza magnetica) per valutare se ci sono eventuali lesioni associate.
In base al tipo di lesione si deciderà cosa fare, di certo all’inizio occorrono una ginocchiera e le stampelle, dopodiché bisogna intervenite il più presto possibile con un recupero in piscina con immersione completa fino al collo.
In rari casi lo specialista ortopedico consiglia l’intervento chirurgico.
Lesione dei menischi
La lesione dei menischi si può verificare durante i movimenti combinati di flessione e rotazione che sono tipici delle distorsioni.
Ci sono sostanzialmente due tipi di lesioni meniscali, quelli di origine traumatica, più frequenti tra i giovani e gli sportivi, causati da una violenta sollecitazione e le lesioni di origine degenerativa. Nelle persone più anziane la lesione si verifica anche spontaneamente a causa della degenerazione della cartilagine e della perdita di elasticità.
I sintomi principali delle lesioni meniscali sono in sostanza dolore e rigonfiamento locale.
Le lesioni più significative possono generare un vero e proprio blocco articolare che il più delle volte tende a risolversi con opportune manovre di basculamento in flesso- estensione.
In seguito ad una lesione meniscale si verificano queste condizioni:
- incapacità di estendere o piegare completamente l’articolazione
- infiammazione della membrana che comporta una maggiore produzione di liquido che si raccoglie nella cavità articolare (idrarto)
- scricchiolio dell’articolazione associato a dolore
Durante la visita medica lo specialista valuta alcuni parametri come la sede esatta del dolore, il gonfiore, l’ampiezza del movimento e la presenza di eventuali rilassamenti di tessuti.
Alla visita seguono degli esami come la risonanza magnetica (RMN) o la TAC.
La diagnosi accurata è fondamentale per impostare un programma terapeutico adeguato che dovrà essere differenziato, sia in base al tipo di lesione che alle esigenze specifiche del paziente.
Lesioni cartilaginee
I problemi cartilaginei derivano da usura, ovvero dalla ripetizione costante di certi movimenti, o in seguito a traumi veri e propri. Un’erosione della cartilagine, più o meno profonda, viene chiamata condropatia e provoca un alterato scorrimento dei capi ossei che si traduce in dolore, gonfiore e difficoltà di movimento.
Se al paziente è stato riscontrato un danno cartilagineo serio in un’articolazione come il ginocchio, questi deve prepararsi ad una battaglia abbastanza dura poiché il prezzo da pagare in termini di tempo, disagio e impegno, è piuttosto alto.
Dopo un accurato esame clinico, il medico prescriverà al paziente una risonanza magnetica (RMN).
Il programma riabilitativo è personalizzato in base alla sede e all’entità della lesione ed ha l’obiettivo di ridurre il dolore e ripristinare la normale funzionalità dell’arto.
Lussazione rotulea
La lussazione rotulea è un’evenienza abbastanza frequente che, in alcuni casi, è legata ad una predisposizione congenita di mal allineamento, mentre in altri casi è un fenomeno acuto legato all’entità dello stress traumatico.
I sintomi di una lussazione sono dolore, gonfiore, deficit di articolarità e zoppia.
La diagnosi si ottiene effettuando una radiografia. Generalmente la lussazione si riduce spontaneamente. Per recuperare l’uso della parte sono necessari una ginocchiera e un ciclo di riabilitazione. La rieducazione consiste soprattutto in tecniche di rinforzo muscolare concentrate sulla coscia.
Frattura rotulea
Nella maggior parte dei casi le fratture di rotula sono trasverse.
L’infortunio è spesso causato da trauma diretto. I sintomi sono insorgenza rapida di gonfiore, dolore e limitazioni articolari. La diagnosi si ottiene con una radiografia standard.
Il trattamento conservativo prevede inizialmente una immobilizzazione con tutore per 4-6 settimane, per poi seguire una progressiva rieducazione funzionale.
Frattura del piatto tibiale
La frattura del piatto tibiale può verificarsi in seguito ad grave trauma (incidente automobilistico, sci) che comporta subito un notevole gonfiore al ginocchio.
Il quadro clinico è solitamente caratterizzato da dolore, gonfiore e limitazioni dell’articolarità.
Poiché la prima radiografia potrebbe essere anche negativa, sarà necessaria anche una TAC o RMN.
Se non c’è necessità di intervenire chirurgicamente, sarà necessario trascorrere un periodo più o meno lungo di immobilizzazione con tutore ad arto esteso (da quattro a sei settimane) seguito da un ciclo riabilitativo di almeno due mesi.
Rottura dei tendini rotuleo e quadricipitale
Si tratta di un grave avvenimento che si presenta in persone giovani e sportivi con tendinosi degenerative, e negli anziani che fanno sforzi improvvisi senza avere una adeguata preparazione.
L’infortunio può provocare uno schiocco al ginocchio, dolore, gonfiore e difficoltà ad estendere il ginocchio.
L’ecografia è solitamente sufficiente per una conferma diagnostica, ma in caso di lesione parziale la risonanza magnetica (RMN) può dare indicazioni più dettagliate.
In caso di lesione parziale si interviene prima con l’immobilizzazione e deambulazione con stampelle per quattro settimane, poi con progressivi esercizi di rinforzo muscolare per almeno quattro mesi. Se la lesione è totale, la soluzione da preferire è chirurgica.
Patologie croniche
Artrosi
L’artrosi, chiamata anche osteoartrosi, è una malattia cronica che colpisce le articolazioni (artropatia), di tipo degenerativo, ovvero che porta alla progressiva perdita delle componenti anatomiche che formano le articolazioni.
E’ un processo molto frequente caratterizzato dall’usura e dall’invecchiamento, ma si può manifestare anticipatamente se originata da lesioni traumatiche non trattate correttamente in età giovanile.
È più frequente nelle donne, e nei pazienti in sovrappeso. Esistono poi attività lavorative che dimostrano quanto la ripetizione di alcuni gesti, una postura viziata, il sovraccarico funzionale possano, a lungo andare, produrre danni articolari irreversibili
I sintomi sono in genere chiari ed inequivocabili: dolore, gonfiore, deambulazione con zoppia, sensazione di impaccio dell’articolazione e rumori articolari detti scrosci.
La diagnosi è sia clinica che radiografica.
Un ciclo riabilitativo ben condotto può fare molto per può migliorare la qualità della vita, mirando alla riduzione del dolore, al recupero della funzionalità articolare e al rallentamento dell’evoluzione della malattia.
Tendinopatia rotulea o jumper’s knee
E’ una patologia molto frequente nella popolazione sportiva e colpisce maggiormente gli atleti di sport come pallavolo, basket e atletica leggera.
Può essere anche la conseguenza di un evento scatenato da un sovraccarico funzionale o da microtraumi ripetuti.
Si distinguono 4 stadi clinici:
Stadio I: il dolore compare dopo l’allenamento, l’attività non è limitata.
Stadio II: il dolore è presente all’inizio, scompare con il riscaldamento e ricompare a freddo.
Stadio III: il dolore permane per tutta la durata della prestazione.
Stadio IV: rottura del tendine.
La diagnosi è clinica e avviene mediante un’ecografia muscolo-tendinea per avere un’idea del grado di tendinosi, mentre nei casi più gravi è necessaria una RMN.
Il trattamento, inizialmente conservativo, è sempre molto delicato e le possibilità di successo dipendono dalla gravità del quadro patologico e dal tempo di insorgenza della sintomatologia.
Malattia di Osgood-Schlatter o apofisite tibiale anteriore
E’ più frequente negli atleti adolescenti maschi (10-13 anni) ed è attribuibile ad un sovraccarico abnorme sulla cartilagine in accrescimento che causa delle microfratture del nucleo osseo apofisario.
Il paziente avverte dolore localizzato sulla tuberosità anteriore della tibia che viene incrementato dall’attività fisica e si placa con il riposo.
La diagnosi è clinica e si esegue con una radiografia per valutare eventuali calcificazioni o problemi inserzionali.
Il trattamento è il riposo. Generalmente il problema si risolve con la fine del periodo di crescita.
Sindrome femoro-rotulea
E’ costituita da un insieme di alterazioni morfofunzionali che determinano l’insorgenza di dolore anteriore di ginocchio.
La rotula scorre all’interno di una gola ad essa congruente, scavata nella parte distale del femore. La le superfici ossee scivolano l’una sull’altra grazie al reciproco rivestimento cartilagineo e sono guidate dalla tensione di alcuni gruppi muscolari, del tendine rotuleo e dei legamenti alari.
Basta un minimo disturbo, un’alterazione di forma o di funzione di una di queste componenti, perché insorga un aumento della pressione su una parte dell’articolazione femoro-rotulea con conseguente insorgenza di dolore o, peggio ancora, di instabilità fino alla vera e propria fuoriuscita della rotula dalla sua sede durante i dolorosissimi episodi di lussazione.
La diagnosi si esegue con una radiografia, una TAC o risonanza magnetica.
Un programma riabilitativo personalizzato porta molto beneficio, mentre la soluzione chirurgica viene riservata ai casi più gravi.
La riabilitazione inizia in palestra, ma continua nella vita di tutti i giorni con piccoli accorgimenti da seguire per il mantenimento di una funzionalità completa.
Sindrome della bendelletta ileo-tibiale
Sotto questo termine rientra un quadro infiammatorio cronico che interessa l’ultimo tratto della fascia lata (bendelletta o tratto ileotibiale) ed è un episodio particolarmente diffuso tra i calciatori, i podisti e i ciclisti.
Può insorgere per un sovraccarico o per allenamenti su terreni duri e irregolari, o per fattori anatomici. Il sintomo principale è il dolore laterale di ginocchio. A volte è presente anche un gonfiore a livello dell’inserzione della bendelletta.
La pratica sportiva è spesso resa impossibile dal male e dalla sensazione di rigidità che ad essa si accompagna.
La diagnosi è sostanzialmente clinica, confermata da un’ecografia. Il trattamento iniziale è sempre di tipo conservativo e consiste in un mix di terapie fisiche e manuali.
Fondamentale in fase acuta è ridurre, variare o sospendere l’attività sportiva a seconda della gravità della situazione.
Dolore al gomito
Il gomito è un’articolazione che aiuta a flettere il braccio e a ruotare il palmo della mano: è formato da tre ossa: l’omero, l’osso dell’avambraccio superiore, e le due ossa dell’avambraccio inferiore, cioè il radio e l’ulna.
Le ossa dell’articolazione si muovono grazie ai muscoli, che sono attaccati alle ossa grazie ad appositi tessuti detti tendini.
Le due protuberanze ossee nella parte inferiore dell’omero si chiamano epicondili. I tendini si attaccano all’omero proprio all’altezza degli epicondili.
I tendini e i muscoli attaccati agli epicondili aiutano a estendere il polso e le dita. Se i tendini sono infiammati e fanno male, il disturbo risultante è detto epicondilite laterale o gomito del tennista.
Infortuni più frequenti
Lussazione di gomito
Dopo la spalla il gomito è l’articolazione che si lussa più spesso, e nei bambini con meno di 10 anni è la più frequente in assoluto.
Il meccanismo più comune che produce la lussazione posteriore del radio e dell’ulna rispetto all’omero, è la caduta all’indietro sul braccio con il gomito flesso.
Quando si sospetta una lussazione con frattura, è opportuno effettuare una radiografia. Generalmente si interviene con la riduzione il più precocemente possibile e dopo la manovra di riduzione il gomito viene flesso a 90° e immobilizzato per circa 2 settimane.
In seguito è importante affrontare tutte le fasi della riabilitazione per il recupero funzionale completo.
Patologie croniche
Epicondilite (Gomito del tennista)
L’epicondilite è una tipica sindrome dolorosa che colpisce frequentemente tennisti, golfisti, giocatori di baseball, schermidori.
Se il gomito inizia a far male e non viene curato, può causare perdita di funzionalità e mobilità del braccio.
Le terapie non chirurgiche sono quasi sempre efficaci, si ricorre all’intervento chirurgico solo come extrema ratio.
All’inizio si avverte dolore solo durante l’attività sportiva, successivamente anche a riposo e nella vita di tutti i giorni in semplici gesti quali dare la mano, sollevare una bottiglia o girare una maniglia.
La diagnosi è essenzialmente clinica. Il medico durante la visita sottopone il paziente a test clinici specifici e potrebbe anche richiedere un’ecografia muscolo tendinea o una risonanza magnetica (RMN).
Il trattamento di prima scelta è sempre conservativo. In fase acuta verrà consigliato riposo per circa 20 giorni dall’attività che si ritiene abbia prodotto la sintomatologia, accompagnata da esercizi di stretching e massaggio di scarico. La ripresa graduale dell’attività sportiva potrà avvenire solo dopo rinforzo dei muscoli flessori e della muscolatura della spalla.
Frattura del capitello radiale
Questa frattura è generalmente causata da traumi indiretti, per caduta sull’arto superiore a mano iperestesa e gomito esteso.
Il dolore acuto può indurre una limitazione della articolarità e della forza.
Oltre alla radiografia, in alcuni casi può essere utile una RMN.
Le fratture composte vengono trattate con un tutore rigido per circa 10 giorni. L’inizio del trattamento riabilitativo è fondamentale. Le fratture scomposte vengono spesso trattate con uno splint per due settimane, seguite da mobilizzazione solo in flesso-estensione. Successivamente, dopo controllo radiografico, viene effettuato il completamento della rieducazione.
Frattura omero distale
Sono tipiche dell’infanzia ma si possono verificare anche nell’adulto. Sono causate per lo più da trauma indiretto prodotto da una caduta sul braccio proteso in estensione o da trauma diretto.
Il dolore è intenso e diffuso a tutta l’articolazione. L’intensità del dolore impedisce qualunque movimento, se non una minima flesso-estensione.
La diagnosi si ottiene dopo una radiografia, cui segue l’intervento chirurgico per una precoce ripresa dell’articolarità.
Dolore a piede e caviglia
Il complesso caviglia-piede è un punto di appoggio sottoposto a continue sollecitazioni. Le caviglie sono molto vulnerabili e soggette a distorsioni, dal momento che proprio attraverso le caviglie, il carico viene trasferito al piede e quindi al suolo, in un’area di appoggio assai limitata rispetto al peso corporeo ed all’altezza.
Il piede è una struttura forte e sofisticata: è formato da 26 ossa, unite in 33 articolazioni, rinforzate da più di 100 legamenti. Il peso del corpo gli viene trasmesso dalla caviglia o articolazione tibio-tarsica, un complesso osteo-legamentoso a forma di mortaio: la tibia ed il perone con i loro due malleoli sormontano ed avvolgono la parte superiore dell’astragalo che svolge il compito di trasmettere le forze alle altre ossa del piede.
Infortuni più frequenti
Distorsione alla caviglia
Le distorsioni alla caviglia rappresentano indubbiamente l’infortunio accidentale più frequente di un atleta.
Il più frequente meccanismo di infortunio è in inversione (rotazione interna della pianta del piede) ma può essere anche causato da una eversione (rotazione esterna della pianta del piede) e a volte i due meccanismi possono coesistere.
Nelle lesioni in inversione il legamento maggiormente interessato è il peroneo astragalico anteriore (PAA) seguito dal peroneo-calcaneare (PC) e dal peroneo astragalico posteriore (PAP), mentre nelle lesioni in eversione è il legamento deltoideo.
Il gonfiore è in genere immediato e il dolore molto intenso.
L’ecografia si effettua a distanza di alcuni giorni per consentire di evidenziare la lesione delle strutture legamentose tipiche della distorsione. In casi particolari l’esame può essere completato con una RMN o TC.
Il ciclo riabilitativo è fondamentale per il ripristino della stabilità dell’articolazione e della sua funzionalità dinamica.
Rottura del tendine d’Achille
Sollecitazioni ripetitive negli atleti, o il semplice avanzare dell’età nei sedentari, possono portare ad alterazioni della struttura tendinea fino a rotture parziali o complete del tendine stesso.
Questa lesione colpisce soprattutto i saltatori, i corridori, i calciatori ed i tennisti, realizzandosi come conseguenza di una brusca contrazione muscolare.
Il dolore è acuto ed improvviso nella regione posteriore della gamba, spesso associato a un rumore di “schiocco”.
La diagnosi si basa essenzialmente sul quadro clinico, confermato da una ecografia. Per questa patologia è indispensabile intervenire chirurgicamente.
Fratture malleolari
Possono verificarsi per traumi sportivi, incidenti stradali, domestici o sul lavoro. Nella maggior parte dei casi si dovrà trascorrere un periodo di 30–40 giorni d’immobilizzazione con gesso o tutore.
Il controllo del medico deve essere accompagnato dalle radiografie precedentemente effettuate. In particolare è decisiva quella di controllo dopo la rimozione del gesso: solo se la frattura è ben consolidata e i malleoli sono in asse avremo un buon esito riabilitativo.
Per il pieno recupero la rieducazione dura a lungo e i tempi per consentire il carico vanno condivisi con l’ortopedico. Vengono utilizzate terapie fisiche e farmacologiche per ridurre dolore e gonfiore, terapie manuali e linfodrenaggio ed esercizi di rinforzo della muscolatura della caviglia. E’ inoltre indispensabile la rieducazione in acqua.
Fratture metatarsali
Le fratture più frequenti sono quelle del IV e V metatarso e nella maggioranza dei casi non vengono operate e si verificano in seguito ad un trauma distorsivo dell’avampiede, oppure dopo una ricaduta da un salto. Tra le cause sono frequenti anche gli incidenti motociclistici e automobilistici. Di solito è necessario un gesso per almeno 30 giorni.
Per la diagnosi corretta è indispensabile una radiografia del piede, cui segue un periodo riabilitativo per recuperare articolarità e fluidità.
Fratture-lussazione di Lisfranc
Si tratta di una patologia rara che coinvolge l’articolazione tarso-metatarsale (articolazione di Lisfranc).
Il meccanismo traumatico può essere di tipo diretto o indiretto. Un classico trauma diretto è rappresentato da un calcio a livello del mesopiede, il più delle volte sottovalutato.
In questo caso si avverte dolore intenso sotto carico localizzato al mesopiede ed esacerbato dalla compressione lungo la linea di Lisfranc.
La radiografia è l’esame più indicato in una prima fase, mentre la TC è utile per evidenziare le lesioni occulte.
Nelle lesioni senza instabilità ti verrà consigliato l’uso di un tutore tipo walker per 4-6 settimane, fino alla remissione della sintomatologia. Vengono utilizzate terapie fisiche per ridurre il dolore e il gonfiore e impostato un programma specifico di rinforzo dei muscoli della caviglia.
In caso di lesioni instabili è necessario il trattamento chirurgico. Successivamente il trattamento riabilitativo è simile a quello conservativo.
Lesioni cartilaginee
Si verificano in seguito a traumi distorsivi e sono spesso causa di dolore persistente che provoca anche una limitazione fisica.
Le radiografie di pronto soccorso sono sempre indicative. La RMN serve per verificare fratture osteocondrali con spostamento del frammento.
Ad esclusione dei una lezione del 4° livello, con spostamento del frammento in cui l’approccio è solo chirurgico, negli altri casi si può procedere con un trattamento riabilitativo.
Patologie più comuni
Tendinopatia achillea
Con questo nome si intendono varie patologie di tipo infiammatorio e degenerativo catalogate come tendiniti, tendinosi e tendiniti inserzionali.
Possono essere la conseguenza di un evento acuto scatenato da un sovraccarico funzionale o da microtraumi ripetuti spesso favoriti da calzature non idonee, terreni duri o riscaldamento inappropriato prima dell’attività fisica.
Inizialmente i sintomi tendono a peggiorare a riposo (i primi passi al risveglio sono particolarmente fastidiosi) e migliorano “a caldo”. In seguito il dolore non scompare con l’attività ma la limita fino a renderla impossibile.
Queste patologie provocano dolore, gonfiore, arrossamento della cute, e vengono confermate da un’ecografia che chiarisce sede, grado ed estensione della lesione.
Il trattamento riabilitativo è fondamentale, ciononostante, una tendinopatia è sempre molto delicata e le possibilità di successo dipendono dalla gravità della lesione e dal tempo di insorgenza del sintomo.
Fascite plantare e sperone calcaneare
La fascite plantare è una patologia molto comune tra gli sportivi che praticano corsa, ballo, tennis, basket.
Si presenta spesso anche tra gli anziani che passano da scarpe con tacco a scarpe basse, tra chi per lavoro è costretto ad usare scarpe antiinfortunistica, nei pazienti in sovrappeso e tra coloro che hanno una alterazione anatomica a livello dell’arco plantare (piede cavo rigido, piede piatto).
Durante il passo, nella fase in cui appoggiamo il piede a terra e nella corsa, la fascia plantare viene stirata in modo significativo e il punto maggiormente sollecitato è la sua inserzione sul calcagno. Qui si può produrre nel tempo una calcificazione allungata che produce il tipico sperone calcaneare.
Vi sono speroni non dolorosi (riscontrati casualmente in una radiografia del piede eseguita per altri motivi) e fasciti plantari molto dolorose ma che radiologicamente non hanno prodotto nessuno sperone.
Questa patologia viene spesso trascurata dai pazienti per molti mesi e questo contribuisce a cronicizzarla ed a rallentarne la guarigione.
I sintomi sono dolore acuto al mattino e nei movimenti a freddo, dolore che tende a migliorare dopo i primi passi e a riaccentuarsi durante la giornata. La zona dolente è spesso caratterizzata da gonfiore.
Per la diagnosi è utile eseguire una radiografia ed eventualmente un’ecografia.
La terapia immediata prevede il riposo sportivo, l’uso di calzature idonee e calo di peso corporeo. Può essere utile utilizzare un plantare per correggere eventuali anomalie. Spesso la terapia ad onde d’urto si rivela molto efficace nel risolvere l’infiammazione.
Neuroma di Morton
La Sindrome di Morton è un rigonfiamento dei rami del nervo plantare tra il secondo ed il terzo e tra il terzo e il quarto metatarso ed è determinata da microtraumi che si verificano durante il movimento e a causa dell’uso di scarpe troppo strette.
Il paziente avverte dolore improvviso, spesso paragonata ad una scossa elettrica.
La diagnosi è clinica ma la conferma avviene con un’ecografia o una risonanza magnetica (RMN).
Il trattamento è inizialmente conservativo ma in casi specifici si deve ricorrere all’intervento chirurgico per asportare il neuroma.
Dolore a polso e mano
L’anatomia dell’articolazione del polso è molto complessa, forse la più complessa di tutte le articolazioni del corpo. Il polso è formato dalle otto ossa del carpo tra cui lo scafoide, dal radio e dall’ulna. Queste ossa ed articolazioni ci consentono di usare le nostre mani in molti modi differenti, ma ci forniscono anche la forza per forti prese. La mano è costituita dalle 5 ossa lunghe del metacarpo e dalle falangi che compongono le dita.
Infortuni più frequenti
Distorsione polso
Il meccanismo traumatico più frequente è la caduta a terra sulla mano in estensione ed extrarotazione, che comporta uno stiramento delle strutture capsulari.
Il risultato è un dolore tipicamente diffuso a tutto il polso e con gonfiore di discreta entità. Il riposo con bendaggio e ghiaccio ed eventualmente un tutore, per circa 10 giorni, normalmente risolvono il dolore. Successivamente è necessario iniziare terapia fisica locale e recupero dell’articolarità e del tono-trofismo muscolare.
Distorsione dita
Le lesioni legamentose delle articolazioni falangee sono normalmente di 1° o 2° e colpiscono più frequentemente il 4° e 5° dito perché più vulnerabili.
Il medico consiglierà al paziente un bendaggio di protezione per 7-10 giorni. L’immobilizzazione con stecca per almeno 3 settimane è da riservarsi per i casi di lesione di 3° grado.
Alla rimozione della stecca si iniziano subito esercizi di mobilizzazione articolare e rinforzo dei muscoli della mano.
Frattura scafoide
Le fratture dello scafoide sono le più frequenti tra quelle delle ossa del carpo (quasi il 90% del totale). Avvengono solitamente in seguito ad una caduta con la mano in iperestensione.
In genere la frattura produce intenso dolore e una tumefazione localizzata in prossimità della tabacchiera anatomica (quella piccola area triangolare alla base del pollice). Il dolore limita i movimenti su tutti i piani.
Si considerano 3 tipi di fratture: prossimali, distali e istmiche.
Le fratture con tempi di guarigione più lunghi e più a rischio di complicanze sono quelle prossimali.
Una opportuna diagnosi si basa sull’anamnesi, confermata da una radiografia del polso in proiezioni particolari per lo scafoide.
Il trattamento è in genere conservativo e consiste nel gesso con pollice incluso da tenere 6 -10 settimane.
Alla rimozione del gesso o del tutore (che avviene in seguito alla guarigione radiologica) è opportuno cominciare un ciclo di terapie riabilitative volte al recupero dell’articolazione e della forza della muscolatura della mano.
Frattura radio-ulna
La frattura interessa il 60 – 70 % delle donne in menopausa ed è tipica dell’osso osteoporotico.
Lo stesso meccanismo di caduta nel giovane determinerà più frequentemente la frattura dello scafoide e nel bambino le fratture del radio a “legno verde”.
È una frattura molto dolorosa che si rileva con una radiografia, talvolta è necessaria una elettromiografia per eventuali lesioni neurologiche associate.
Alla terapia farmacologica per controllare il dolore segue la manipolazione, per ridurre e stabilizzare la frattura, oppure un intervento chirurgico.
Dolore alla schiena
Il dolore alla schiena è un sintomo nevralgico di svariate tipologie di affezioni. Ne soffre l’80% della popolazione.
La colonna vertebrale è costituita dalle vertebre distinte in 7 cervicali, 12 toraciche, 5 lombari, 5 sacrali e 4 o 5 coccigee (osso sacro e coccige).
Le vertebre sono ossa brevi costituite da un corpo nella parte anteriore e un arco nella parte posteriore. Tra i corpi vertebrali si trovano i dischi intervertebrali, strutture fibrocartilaginee che facilitano i movimenti della colonna e fungono da ammortizzatori.
Le principali funzioni della colonna sono di sostegno, protezione e movimento.
Il tratto lombosacrale della colonna è la struttura anatomica più sollecitata e mobile dell’organismo e questo la espone a continui sovraccarichi che possono danneggiare le strutture articolari, legamentose e discali delle quali è composta.
Infortuni più frequenti
Lombalgia acuta/post-traumatica
Il termine generico lombalgia raggruppa una serie di cause che generano il mal di schiena.
L’episodio conosciuto come “colpo della strega” in genere insorge dopo un movimento brusco in torsione o in flesso-estensione del rachide, come sollevare un peso in posizione semiflessa.
Il dolore può raggiungere una intensità tale da costringerti a letto per diversi giorni.
La visita medica serve a stabilire l’origine della lombalgia e se ci siano anche segni di compressione di una radice nervosa.
Quasi sempre i muscoli che governano i movimenti del rachide sono contratti e dolenti e questo causa problemi anche nel sonno.
La lombalgia si diagnostica con una radiografia standard del rachide lombo-sacrale, una risonanza magnetica (RMN) o in alternativa una TAC se c’è il sospetto di una discopatia.
Nella stragrande maggioranza dei casi è indicato un trattamento di tipo conservativo, una rieducazione con terapie manuali per decontrarre i gruppi muscolari che governano e controllano i movimenti del rachide e del bacino, e terapie fisiche per ridurre il dolore, cui si affiancano esercizi di articolarità e tonificazione muscolare.
Inoltre fin dall’inizio, è fondamentale correggere le cattive abitudini di vita che possono complicare il percorso riabilitativo, vanificando i risultati ottenuti, come il modo in cui ci si siede sul divano, i chili di troppo o il sedersi con il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. Situazioni apparentemente banali che però causano il protrarsi dei sintomi per mesi o anni.
Frattura vertebre lombari
Clinicamente le fratture vertebrali si distinguono in fratture senza interessamento neurologico (fratture amieliche) e fratture con interessamento neurologico (fratture mieliche).
Le fratture amieliche generano dolore locale, impotenza o limitazione funzionale e alterazioni posturali/antalgiche della colonna, che può essere deviata in cifosi od in scoliosi, in rapporto al tipo ed all’entità della frattura.
Una radiografia è in genere sufficiente per la diagnosi; nei casi dubbi si richiede una TAC o una risonanza magnetica (RMN).
Le fratture stabili vengono trattate inizialmente con il riposo e successivamente con un trattamento riabilitativo per il recupero completo dell’autonomia nella vita quotidiana.
Le fratture instabili devono essere risolte chirurgicamente.
Ernia del disco
Il disco intervertebrale è come un cuscinetto ammortizzatore interposto tra due vertebre contigue. E’ composto da un nucleo polposo centrale ricco d’acqua, tenuto in sede da un rivestimento esterno fibroso.
Gli spostamenti del rachide modificano la posizione del nucleo polposo all’interno del disco intervertebrale: una flessione anteriore causa un arretramento del nucleo polposo, una estensione del rachide causa per contro un suo spostamento in avanti.
Questi movimenti fisiologici possono essere accentuati nell’assumere certe posture sbagliate o nel compiere gesti particolarmente gravosi per il rachide.
In questi casi il nucleo polposo può anche protrudere (protrusione o bulging), cioè spingersi posteriormente senza lacerare l’anello fibroso che lo mantiene all’interno del disco intervertebrale.
In una fase più avanzata l’anello fibroso si lacera e il materiale contenuto all’interno del disco fuoriesce (ernia) spingendosi lateralmente, verso il basso e più raramente verso l’alto.
L’esame clinico serve a stabilire se la discopatia produca segni di compressione di una radice nervosa. Per arrivare alla diagnosi serve una RMN o in alternativa una TC.
Nella stragrande maggioranza dei casi è indicato un trattamento di tipo conservativo.
Il paziente inizia subito terapie manuali fisiche per ridurre il dolore. Appena possibile vengono introdotti esercizi di recupero dell’articolarità e tonificazione muscolare che mirano alla correzione di squilibri di forza quasi sempre presenti nei soggetti lombalgici. Importantissimi gli esercizi di core stability, una serie di movimenti che agiscono migliorando la forza e la coordinazione neuromotoria.
Patologie croniche
Lombalgia cronica
La lombalgia cronica si presenta spesso per una degenerazione del disco intervertebrale associata o meno ad una stenosi (restringimento) del canale vertebrale.
Quando il dolore tende a irradiarsi lungo il territorio di innervazione del nervo ischiatico, si parla di sciatalgia (nota a tutti come sciatica) e in genere è attribuibile ad un coinvolgimento delle radici nervose L4, L5 ed S1.
Se invece vengono interessate le radici nervose più alte (L2 ed L3) il dolore si irradia nel territorio del nervo femorale, lungo la faccia anteriore della coscia e si parla di cruralgia.
I dischi intervertebrali possono andare incontro ad una disidratazione della loro componente acquosa (nucleo polposo) e questo comporta una infiammazione che genera dolore lombare. Questa alterazione strutturale riduce la capacità del disco di ammortizzare i carichi e dare stabilità alla colonna lombare producendo dolore.
Il nucleo polposo può anche protrudere (protrusione o bulging), cioè spingersi posteriormente senza lacerare l’anello fibroso che lo mantiene all’interno del disco intervertebrale.
In una fase più avanzata l’anello fibroso si lacera e il materiale contenuto all’interno del disco fuoriesce (ernia) spingendosi lateralmente, verso il basso e più raramente verso l’alto.
Il dolore lombalgico rende spesso difficile giungere ad una diagnosi univoca e certa.
A volte il paziente prova un dolore importante e una RMN si rivela assolutamente negativa. Invece un esame eseguito per altri motivi mostra un rachide molto compromesso al quale però non si associa un quadro clinico altrettanto preoccupante. Questo giustifica il termine sempre più utilizzato di lombalgia cronica aspecifica.
Poiché è un dolore che affligge da molto tempo, bisognerà seguire attentamente le indicazioni del medico ed essere costante nel seguire il trattamento riabilitativo.
Spondilolisi-Listesi
La spondilolisi è una alterazione della morfologia del rachide lombare che consiste nell’interruzione di continuità dell’istmo vertebrale. Se l’istmo si interrompe da entrambi i lati, il corpo vertebrale tende a scivolare in avanti sul corpo della vertebra sottostante producendo una spondilolistesi.
L’origine della causa non è del tutto chiara: si pensa che vi sia una debolezza congenita dell’istmo in certi individui, in alcuni casi la causa sono dei microtraumi ripetuti o un trauma di una certa gravità.
Questa patologia, che è la principale causa di lombalgia negli adolescenti e nei giovani sportivi, colpisce quasi sempre la 5° vertebra lombare che quindi tende a scivolare sul corpo del sacro, e la 4° vertebra lombare che scivola sulla 5°.
Questa patologia è sostanzialmente benigna, ma tende ad evolvere negli anni, dunque è bene tenerla sotto controllo con opportuni esami clinici e strumentali.
L’esame più indicato è una comune radiografia del rachide lombo-sacrale in proiezione laterale per valutare il grado di listesi e in proiezione obliqua per valutare la lisi dell’istmo.
La prima cosa da fare è seguire una terapia conservativa, che consiste in esercizi di rinforzo per ridurre lo scivolamento in avanti del corpo vertebrale, aumentando la retroversione del bacino e diminuendo la lordosi lombare. In aggiunta si utilizzano terapie fisiche e manuali in base alla manifestazione clinica della patologia.
Stenosi del canale lombare
La stenosi del canale lombare consiste nella riduzione dei diametri antero-posteriore e trasversale del canale midollare.
Il paziente avverte parestesie, dolori, debolezza, senso di pesantezza agli arti inferiori.
È tipica di questa patologia la claudicatio intermittens, ovvero disturbi sensitivo-motori agli arti inferiori, mono o bilaterali, che compaiono quando il paziente passa molto tempo in piedi o dopo una camminata anche breve.
Il medico generalmente riscontra al paziente una limitata articolarità del rachide e difficoltà a camminare per comparsa di bruciore agli arti inferiori.
Una radiografia standard consente di sospettare la stenosi, mentre per avere un quadro certo sono necessari una TAC e una RMN.
Serve un ciclo riabilitativo di almeno 2 mesi, con 2-3 sedute settimanali in palestra e piscina associate a trattamenti chiropratici. Importantissimi sono i massaggi decontratturanti dorso- lombari, lo stretching dei muscoli della catena posteriore ed esercizi di core stability.
L’intervento chirurgico deve essere preso in considerazione come extrema ratio.
Dolore alla spalla
La spalla è un’articolazione molto complessa che permette una grande libertà di movimento, ma allo stesso tempo è particolarmente vulnerabile. Questo vuole anche dire che se il paziente è afflitto da un problema alla spalla, la sua instabilità o rigidità condiziona la sua vita a 360°. L’articolazione della spalla è composta da tre ossa: omero, clavicola e scapola. Esse sono connesse da muscoli, tendini, legamenti.
Infortuni più frequenti
Fratture alla clavicola
Le fratture alla clavicola sono tra le più comuni cause di lesione ossee. La frattura si localizza più di frequente al passaggio fra terzo medio e laterale, che rappresenta il punto più debole.
Il trauma si verifica per una caduta (da cavallo, dalla moto, dalla bicicletta) sul braccio in estensione. Il dolore potrebbe essere talmente intenso da renderti incapace di muovere l’arto.
La frattura viene diagnositcata da una radiografia standard ma in alcuni casi è sufficiente un’ecografia muscolo-tendinea. Per le fratture più difficili da individuare è opportuno eseguire una TAC mentre nel sospetto di una lesione della cuffia dei rotatori è meglio eseguire una RMN.
La guarigione della frattura avviene tanto più velocemente quanto più i frammenti sono allineati, e questo richiede purtroppo che la spalla venga trazionata all’indietro dal fastidioso ma necessario bendaggio funzionale “a 8”.
La clavicola guarisce in circa tre settimane, ma se i monconi sono molto scomposti verrà prolungata l’immobilizzazione del paziente.
La riabilitazione è molto importante: alla rimozione del bendaggio è opportuno cominciare un ciclo di terapie in piscina e in palestra per recuperare al più presto l’articolarità e il controllo neuromotorio della spalla e la forza dei muscoli della spalla.
Lussazione di clavicola (Acromion-Claveare)
E’ un trauma grave e significa che la testa omerale è completamente fuoriuscita dalla sua sede anatomica, cioè dalla cavità glenoidea.
Questa lesione consiste nella rottura più o meno completa di alcuni fasci legamentosi che mantengono uniti i capi contrapposti dell’acromion e della clavicola.
La conseguenza è una dislocazione verso l’alto della clavicola che si associa a dolore ed impossibilità a muovere la spalla.
Il trauma è generalmente causato da una caduta (a terra, ciclismo, calcio, contatto traumatico) con forza che va dall’alto verso il basso e genera dolore locale e deformità del profilo acromion-claveare.
L’esame radiologico e quello ecografico possono evidenziare le lesioni legamentose e dare indicazioni sul grado della lussazione. La risonanza magnetica è indicata nel caso si sospettino lesioni capsulo legamentose associate come la lesione della cuffia dei rotatori.
Il trattamento è generalmente conservativo e consiste in un bendaggio e nell’immobilizzazione dell’articolazione per circa 20 giorni.
Alla rimozione del bendaggio serve un ciclo di rieducazione per ripristinare il movimento e per recuperare la forza, inevitabilmente compromessi sia dal trauma che dal riposo forzato.
La chirurgia è necessaria in caso di lesione complessa.
Lussazione di spalla (Gleno-Omerale)
Quando una delle strutture che stabilizzano la spalla viene danneggiata in seguito ad un trauma, oppure si presenta più debole per caratteristiche individuali spesso legate alla familiarità, certi movimenti dell’arto superiore provocano uno scorrimento anomalo della testa omerale che raggiungono il loro apice negli episodi di lussazione della spalla caratterizzati da immediata impotenza funzionale e dolore intenso.
In genere, il riposizionamento della testa omerale nella sua cavità, viene effettuato con manovre specifiche e non sempre facili.
Per la diagnosi si consiglia una TAC o una RMN, per stabilire il programma terapeutico più adeguato. L’articolazione deve essere poi immobilizzata con un tutore per un periodo di circa tre settimane, cui segue un ciclo riabilitativo.
La riabilitazione svolge un ruolo determinante, sia perché il riutilizzo dell’arto superiore ha bisogno di un’articolazione libera e non dolente, sia perché la più frequente complicanza che si verifica dopo un episodio di lussazione è il permanere di un’instabilità che prima o poi darà luogo ad una recidiva.
Cuffia dei rotatori
Le rotture della cuffia dei rotatori possono essere parziali o complete e sono per il 90% dei casi di natura degenerativa e per il 10 % di natura traumatica.
Le rotture degenerative sono la naturale evoluzione di una tendinopatia cronica della cuffia e di un conflitto esterno sottoacromiale.
Le rotture traumatiche riguardano pazienti giovani, sportivi, oppure sono conseguenza di cadute sul moncone di spalla nel corso di incidenti e sono spesso associate a lussazioni anteriori o a fratture dell’omero.
L’approccio delle rotture parziali è generalmente conservativo, mentre le lesioni complete hanno una prognosi peggiore e quasi sempre richiedono l’intervento chirurgico, così come le lesioni parziali che non rispondono ad una terapia conservativa prolungata per alcuni mesi.